Immigrati: l’influenza dei media nelle rappresentazioni di un fenomeno


I fenomeni delle migrazioni e i problemi legati alla condizione degli immigrati e dei rifugiati sono diventati uno degli argomenti più inquietanti del 21° secolo. Nella storia dell’umanità non si era dato un periodo altrettanto denso di situazioni di persone che vivono in una nazione diversa rispetto a quella in cui sono nate. E il processo sembra non arrestarsi. Le politiche nazionali e sovranazionali adottate nei confronti dell’immigrazione, così come le strategie di intervento sociale che, di volta in volta vengono considerate più o meno adeguate, costituiscono un argomento decisamente controverso che genera incertezza e difficoltà. Non c’è chiarezza a proposito dei costi da mettere in bilancio né degli impegni che discendono dal fornire ospitalità agli immigrati. 

Oltre alla selezione dei contenuti, gli stili linguistici con cui i media descrivono fenomeni come quello dell’immigrazione influenzano le rappresentazioni, gli atteggiamenti e i giudizi che i cittadini elaborano su argomenti così importanti.

Le scarse informazioni direttamente accessibili ai cittadini determinano uno squilibrio nella gestione delle conoscenze (Artiles e Molina, 2011), per cui gli organi mediatici nelle varie articolazioni dei canali utilizzati (televisione, stampa, web) così come le organizzazioni politiche nazionali che si ispirano a scelte ideologiche molto differenziate godono il vantaggio di potersi rivolgere a cittadini poco informati a proposito della presunta o reale presenza di immigrati sul territorio nazionale, confezionando alcune volte in maniera tendenziosa le loro comunicazioni (Esses, Medianu e Lawson, 2013). E’ questa la condizione psicologica più favorevole per agire sui sistemi di atteggiamento dei cittadini e per far maturare il sospetto che gli immigrati, in quanto membri di un gruppo sociale molto omogeneo e fortemente motivato a valorizzare la propria identità, siano dei potenziali nemici arrivati sulla porta di casa, pronti, in maniera più o meno esplicita, ad invadere lo spazio di vita che cittadini autoctoni hanno considerato da sempre come proprio (Esses, Hodson e Dovidio, 2003). Del resto, alcuni episodi legati ai percorsi dell’immigrazione, per le dinamiche con cui si manifestano e per la particolare visibilità che li caratterizza, vengono arricchiti nelle cronache televisive di alcuni elementi drammatici capaci di suscitare nel pubblico reazioni emotive particolarmente polarizzate.

Caso Lampedusa

Per ricondurre la nostra attenzione a questa possibile “costruzione di drammatica realtà condivisa”, si pensi alle cronache e ai commenti che il sistema mediatico italiano e le più ascoltate forze politiche nazionali hanno speso per descrivere episodi nello stesso tempo drammatici e spettacolari riguardanti la fuga per mare, lungo la rotta che collega le coste libiche a Lampedusa, di migliaia di persone in cerca di libertà e dell’affrancamento dalla fame e dalla miseria.

A seconda dei casi e dei contesti, giornalisti e politici hanno speso formule linguistiche e stili di racconto capaci di suscitare, sulla base di strategie comunicative, pietà, orrore, vergogna, disprezzo, esecrazione, rifiuto, condanna, di volta in volta espresse nei confronti delle nazioni di provenienza dei rifugiati, nei confronti degli scafisti, nei confronti degli stessi immigrati, sensibili alle sirene del benessere del mondo occidentale, nei confronti del governo nazionale e delle istituzioni europee, considerati in alcune circostanze troppo limitati nei loro interventi, in altre scialacquatori dei soldi dei contribuenti a favore di flussi migratori capaci, alla lunga, di sconvolgere il tessuto occupazionale, economico, politico e culturale dell’Italia.

Ma al di là delle contrastanti interpretazioni degli attuali flussi migratori nel cruciale bacino del Mediterraneo, la letteratura scientifica ci conferma che nel corso degli ultimi quindici anni la rappresentazione degli immigrati e dei rifugiati politici in molte nazioni occidentali è diventata progressivamente più negativa, dato che i mezzi di comunicazione hanno prevalentemente posto l’accento sul pericolo che essi rappresenterebbero per la società. Per esempio, la televisione americana, di cui sono stati analizzati nel corso di quattro mesi del 2005 i contenuti dei telegiornali (Cisneros, 2008), proponeva una rappresentazione visiva e metaforica degli immigrati come pericolosi, propagatori di gravi epidemie, che devono essere rigidamente controllati per prevenire pericoli di contaminazione.

Il linguaggio giornalistico

I mezzi di comunicazione di massa hanno un potere notevole nel proporre una prospettiva tendenziosa, grazie a due principali meccanismi. Il primo ha a che fare con le scelte dei contenuti che devono essere diffusi. Le informazioni che ottengono priorità e visibilità nelle cronache giornalistiche danno corpo ad una rappresentazione del mondo coerente con tali scelte. Ma è fuori di dubbio che i processi di influenza più sottili passano attraverso l’impiego di particolari caratteristiche stilistiche del linguaggio usato. Per questo motivo può essere interessante rendere conto di un secondo meccanismo che interviene in tali processi per dimostrare che l’interpretazione di un evento sociale comparso nella cronaca di un giornale o di un telegiornale dipende da alcune scelte stilistiche operate dal cronista per descrivere quell’evento e i comportamenti associati. In questo contesto, un’interessante strategia linguistica su cui soffermarsi è costituita dalle metafore (Maass, Arcuri e Suitner, 2014), il cui uso è particolarmente frequente, sia nel linguaggio quotidiano sia nelle titolazioni delle cronache giornalistiche, quando viene affrontato il tema dei flussi migratori, sottolineandone il carattere minaccioso.

I termini linguistici più ricorrenti nelle titolazioni giornalistiche sono: “E’ uno tsunami!”, ma anche “una marea”, o anche “un’alluvione”, per alludere a una sorta di disastro naturale; oppure “è un’invasione”, “un’occupazione” o ancora “è una bomba a orologeria”, per sottolineare il possibile collegamento con il mondo della guerra; “è un contagio culturale” ma anche “è come la peste”, “è un cancro”, per associare le immagini di tanti migranti al mondo della malattia e alla incombente minaccia delle pandemie.

Dal punto di vista della loro funzione, le metafore rappresentano una interfaccia tra la conoscenza categoriale espressa in termini linguistici (il gruppo degli immigrati in arrivo sui barconi) e la vividezza degli aspetti emotivi e sensoriali dell’esperienza percettiva delle persone che vivono l’arrivo degli immigrati come uno sconvolgente e non gestibile disastro naturale (lo tsunami).

Da queste espressioni linguistiche, è molto probabile che l’opinione pubblica meno informata maturi nei confronti degli immigrati in generale, così come dei rifugiati politici, reazioni di tipo negativo che possono arrivare anche ad un processo detto di de-umanizzazione. Con tale termine indichiamo l’estrema forma di intolleranza nei confronti della “diversità”, grazie alla quale a immigrati e rifugiati viene negata la piena appartenenza al genere umano (il nazismo dovrebbe ricordarci qualcosa in tal senso). Nella pratica, la de-umanizzazione si traduce in una significativa carenza nelle seguenti caratteristiche: la raffinatezza, la cortesia, il senso morale, l’autocontrollo, la complessità cognitiva

Valori pro-sociali, come l’imparzialità, il mettersi al servizio, il perdonare, sono esempi di tale patrimonio tipicamente umano perché riflettono un desiderio consapevole di promuovere il benessere del prossimo. Se delle persone percepiscono che ad un gruppo fanno difetto i valori sociali, esse arriveranno alla conclusione che quel gruppo sarà meno umano e quindi meno degno di un trattamento umano. Da qui al realizzare problematiche e degradanti condizioni di vita e di sicurezza sociale per i nuovi arrivati il passo sarà breve.

Ne consegue che le scelte contenutistiche, ma soprattutto le scelte degli strumenti linguistici che vengono compiute nel confezionare gli articoli giornalistici hanno un ruolo determinante nel proporre immagini più o meno tendenziose dei membri dei gruppi di minoranza, come nel caso degli immigrati. Ne deriva una responsabilità che coinvolge il mondo dell’informazione, dalla carta stampata dei giornali, alle redazioni dei telegiornali, alle agenzie di diffusione delle notizie, al mondo dei siti internet. I professionisti che lavorano in questi contesti devono maturare in maniera sempre più piena la consapevolezza della centralità del loro ruolo nell’influire significativamente sulle rappresentazioni, gli atteggiamenti e i giudizi che i cittadini elaborano a proposito degli immigrati. Pensando al modo più corretto e completo di dare notizie su questi gruppi di minoranza, essi devono inoltre attribuirsi e costruirsi una importante funzione di servizio: non solo fare informazione, ma anche promuovere processi positivi di inserimento sociale di donne e uomini che vengono da lontano e che aspirano a vedere riconosciuta la loro piena dignità di persone.

Sono queste le condizioni di chi vuole davvero fare informazione e raccontare la realtà!

A cura di Luigi Pugliese

 

Riferimenti:
– Artiles A.M., Molina O. (2011), “Crisis, economic uncertainty and union members’ attitudes toward immigrants in Europe”, European Review of Labour and Research, 17, 453-469.
– Esses V.M., Medianu S., Lawson A.S. (2013), “Uncertainty, threat, and the role of the media in promoting the dehumanization of immigrants and refugees”, Journal of Social Issues, 69 (3), 518-536.
– Esses V.M., Hodson G., Dovidio J.F. (2003), “Public attitudes toward immigrants and immigration: Determinants and policy implications”, in C.M. Beach, A.G. Green, J.G. Reitz (Eds.), Canadian immigration policy for the 21st century, McGill Queen’s Press, Montreal, pp. 507-535.
– Cisneros J.D. (2008), “Contaminated communities: The metaphor of “immigrant as pollutant” in media representations of immigration”Rhetoric and Public Affairs, 11, 569-601.
– Maass A., Arcuri L., Suitner C. (2014), “Shaping intergroup relations through language”, in T. Holtgraves (Ed.), Oxford Handbook of Language and Social Psychology, Oxford University Press, Oxford.
Valuta questo contenuto

Lascia un commento