Un viaggio per due nella malattia


Cosa pensa una persona quando scopre di essere malata? Quali meccanismi si attivano, quali emozioni prova, come reagisce quando scopre che deve mettere per un po’ in standby la sua vita per lasciarsi curare? Quali sono i suoi vissuti una volta che diventa un paziente come tanti altri all’interno dell’ospedale? E la sua famiglia? Come reagisce alla notizia di una malattia? 

Per rispondere a queste domande non è necessario appellarsi a chissà quanti libri o lauree in psicologia dato che probabilmente ognuno di noi si è trovato, almeno una volta nella vita, o dalla parte del paziente o dalla parte della sua famiglia. Ciò che è evidente in entrambi i casi è un forte senso di disagio e di smarrimento che investe tutto il nucleo familiare e la sua rete sociale, e che a volte è difficile da spiegare.


La scoperta di una malattia, e più in là anche il ricovero in ospedale, comporta spesso, soprattutto nei casi più gravi, un’interruzione della quotidianità che si prolunga talvolta per lungo tempo e che porta con sé la necessità di adeguarsi a nuovi ritmi istituzionali.

A seguito di tutti gli accertamenti che vengono fatti all’interno o all’esterno dell’ospedale, il paziente inizia a vivere uno stato d’ansia circa quello che potrebbe accadere dal momento in cui lui dice a se stesso: ok, c’è qualcosa che non va, devo consultare uno specialista. E poi, ecco che arrivano i risultati dei primi esami e il ricovero in ospedale in cui si sa quando si entra ma non si sa quando si esce.

L’ospedale visto dal punto di vista del paziente. Un luogo buio e deserto.

Come afferma Alberto Vito, psicologo, psicoterapeuta familiare, sociologo e direttore dell’UOSD di Psicologia Clinica presso l’AORN Ospedali dei Colli (NA), “la condizione di ricovero comporta spesso un forte disagio che dipende da fattori quali la separazione dal nucleo familiare, la parziale rinuncia alla privacy, lo stato d’inevitabile dipendenza altrui con la conseguente perdita di autonomia personale”. Si assiste, quindi, ad uno stato di regressione da parte del paziente, provato sia dal punto di vista fisico che psicologico. Appare evidente, perciò, che qualsiasi condizione di patologia organica comporti una quota di stress, individuale e familiare, cui si affianca uno stress aggiuntivo connesso alle strategie con cui si affronta la malattia (Alberto Vito, 2014), tenendo presente che le angosce e le paure legate all’intervento e all’ambiente ospedaliero hanno un forte impatto sulla capacità di ripresa e guarigione. Ed è qui che interviene lo psicologo ospedaliero, il quale ha il compito di ridurre esattamente questo stress aggiuntivo accompagnando il paziente in ogni momento della malattia o della degenza, ma non solo.

La figura dello psicologo ospedaliero è una figura sicuramente sconosciuta ma non nuova, il cui intervento, all’interno dei vari reparti, riguarda i seguenti ambiti:

  • L’ambito della reazione psicologica alla comunicazione della diagnosi ed alla condizione di malattia;
  • L’ambito riguardante il disagio personale che, anche se in misura differente, accompagna ogni esperienza di malattia, ed il quale può incidere sull’andamento del quadro clinico, sull’adattamento alla malattia e sulla stessa compliance terapeutica;
  • L’ambito familiare, il quale tiene conto degli effetti dell’esperienza di malattia anche per i parenti del paziente, che come lui sono portatori di un carico emotivo ma che rappresentano allo stesso tempo la risorsa più efficace in qualsiasi processo di cura;
  • L’ambito dell’educazione, prevenzione e promozione della salute in cui la presenza dello psicologo può aiutare il paziente nella ricerca di una motivazione che consenta di attuare comportamenti adeguati ed evitare quelli a rischio;
  • L’ambito della ricerca scientifica, laddove si evidenzia la presenza di una componente psicologica come concausa nell’eziopatogenesi delle malattie organiche;
  • L’ambito dell’umanizzazione o personalizzazione delle strutture sanitarie, proponendo modifiche operative ed organizzative che pongano maggiore attenzione ai bisogni emotivi, psicologici e relazionali sia dei pazienti sia degli stessi operatori sanitari;
  • L’ambito della formazione, in cui trattare tematiche riguardanti il supporto psicologico degli operatori, la conoscenza psicologica della malattia ed il suo vissuto, la relazione con il paziente e i suoi familiari, i processi comunicativi con il paziente e nel lavoro di équipe, le strategie di prevenzione del burn-out (Alberto Vito, 2014).

Quando pensiamo che la nostra salute possa essere a rischio la paura di avere “qualcosa che non va” è tale che a volte ignoriamo quali sono i nostri reali bisogni rimandando a data da destinarsi ogni accertamento e immaginando come infausto ogni possibile risultato. Pertanto, avere una figura specializzata che ci accompagni nei percorsi, a volte lunghi, all’interno delle strutture ospedaliere e nella malattia stessa non può che facilitare i processi di accettazione ed, eventualmente, di recupero della salute.


Per questo Humanamente, insieme agli altri servizi alla persona che già offre, si propone anche come sportello di ascolto rivolto soprattutto ai professionisti sanitari che pensano di vivere situazioni di disagio o impotenza di fronte ai vissuti dei loro pazienti. Uno sportello in cui il confronto e le esperienze dell’altro diventano occasioni di crescita e di ricarica sia personale che professionale.

Per saperne di più contattaci:
Tel: 080/3212174
Mail: humanamentefasano@gmail.com
FB: Humanamente Fasano

Bibliografia:

Vito, Alberto. Psicologi in ospedale.Milano: FrancoAngeli, 2014.

Valuta questo contenuto

Lascia un commento