E tu sei mente o cuore?


In questi giorni di quarantena, quasi come se fossimo stati catapultati in un universo parallelo, che niente ha a che vedere con quest’ultimo, data la sua tutt’altro che immensità, ci siamo ritrovati tra le quattro mura di casa e talvolta anche costretti a riprendere le fila della nostra vita e della nostra routine.

Quante volte, lì in mezzo al traffico urbano, in mezzo alla gente sempre di fretta, in mezzo ai rumori delle nostre amate città ci siamo sentiti soffocare e abbiamo chiesto quasi in ginocchio un momento di tregua, di tranquillità, di silenzio, proprio per uscire dalla routine tanto odiata?

Eppure, se c’è una cosa che (forse) siamo riusciti ad amare in questo momento è proprio la frenesia. Il mostro, come lo chiamano i bambini, ci ha portati dall’oggi al domani, da un momento all’altro, quasi di colpo, ad abbandonare la corsa per tuffarci nella bellezza della tranquillità, della passeggiata nel giardino di casa o sul pianerottolo del condominio. Però, nonostante questo, anche all’interno delle nostre giornate a casa, la routine non manca mai: ci si alza, si fa colazione, un po’ di pulizie (magari per eliminare anche l’ultimo acaro presente negli angoli più remoti della casa, che non sapevamo nemmeno esistessero), si legge un buon libro, si cucina (siamo italiani, la cucina è il nostro regno), si guardano le serie tv e tanto altro ancora, pur di arrivare a fine giornata ed essersi sentiti produttivi.

Una mia professoressa dell’università una volta mi ha detto “non siamo più abituati ad oziare”, abbiamo bisogno di continui stimoli e, appunto, di sentirci produttivi, per andare a letto contenti e soddisfatti. Ma allo stesso tempo, sfruttiamo questo tempo anche per rimanere un po’ da soli con noi stessi, magari prendere finalmente qualche decisione più importante, risolvere problemi che abbiamo sempre rimandato, chiudere qualcosa che non ci faceva più stare bene o addirittura cominciarne una completamente nuova. Forse è vero, dopo tutto questo riusciremo ad apprezzare di più che quello che abbiamo: il mare, gli aperitivi sotto il sole cocente, le spiagge affollate, gli abbracci ad un amico o ad un parente, i baci rubati e quelli mai dati. Ma solo il tempo potrà darci le risposte.

A questo punto vi starete chiedendo per quale motivo vi stia parlando di tutto ciò, o forse saranno cose sentite e risentite in tutte le salse, ma in questo momento il mio obiettivo è quello di porvi una domanda, che vi sarà svelata alla fine dell’articolo. Come ho detto prima, in questo periodo ognuno si ritaglia un momento per sé in cui dedicarsi ai propri hobby preferiti, tra cui la lettura. Beh, io ho deciso di ricominciare un po’ a leggere. Un giorno, mentre stavo rimettendo in ordine la libreria, ho trovato “Intelligenza emotiva” di Daniel Goleman. Per chi non lo conoscesse, è uno psicologo, scrittore e giornalista statunitense, ha scritto a lungo sul New York Times a proposito di neurologia e scienze comportamentali e ha ricevuto numerosi premi nell’arco della sua carriera. Goleman, nella prefazione del suo libro, scrive:

“ho scritto Emotional Intelligence in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi profonda, caratterizzata da un netto aumento della frequenza di crimini soprattutto fra i giovani. Il mio consiglio per guarire questi mali sociali era di prestare attenzione alla competenza sociale ed emozionale nostra e dei nostri figli, e di coltivare con grande impegno queste abilità del cuore”.

Mai come in questo momento, le parole di Goleman mi sembrano attuali. Appena ho cominciato a leggerlo, ho pensato: “ma sta parlando di noi?”. L’autore sottolinea come la tendenza generale della società sia verso un’autonomia sempre maggiore dell’individuo, che quindi si contrappone alle necessità di collettività, solidarietà. E non è quello che stiamo sperimentando in questi giorni?

Da un lato l’egoismo della gente che si ostina a violare le regole, e dall’altro lato il lavoro di squadra di medici, infermieri, personale sanitario, senza dimenticare il lavoro di politici e di tanti altri cittadini. “Questa lenta disintegrazione della comunità, insieme a uno spietato atteggiamento di autoaffermazione fanno la loro comparsa in un momento in cui le pressioni economiche e sociali richiederebbero piuttosto un aumento della cooperazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo una riduzione di tale disponibilità”.

È qui, allora, che entra in gioco l’intelligenza emotiva e la necessità di insegnare ad adulti e bambini quello che potremmo definire come “alfabeto emozionale”, un punto di partenza per un adeguato sviluppo delle nostre capacità interpersonali essenziali. “Oggigiorno queste capacità sono fondamentali proprio come quelle intellettuali, in quanto servono a equilibrare la razionalità con la compassione. Rinunciando a coltivare queste abilità emozionali, ci si troverebbe a educare individui con un intelletto limitato: un timone troppo inaffidabile per navigare in questi nostri tempi, soggetti a mutamenti tanto complessi”.

A questo punto, arrivo al mio quesito di oggi… non è ancora arrivato il momento di svelarlo, ma tenetevi pronti. Voglio partire da due citazioni importantissime e molto conosciute:

“Cogito ergo sum” di Cartesio, che tradotto letteralmente dal latino significa “penso dunque sono”, riconduce all’idea di uomo in quanto tale perché dotato di raziocinio. Ognuno di noi è sicuro di esistere, perché è in grado di pensare.

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”: Antoine de Saint-Exupéry ne “Il piccolo principe” sottolinea come le cose più importanti non possano assolutamente essere materiali, ma legate per esempio all’emozione e al cuore. Basti pensare all’innamoramento, le farfalle nello stomaco, il rossore sul volto, le palpitazioni; oppure al dolore, le lacrime, il silenzio. Tutto questo possiamo percepirlo nell’altro solo attraverso l’immedesimazione, l’empatia, la conoscenza dell’importanza e della portata delle emozioni, che non hanno niente a che vedere con la mente.

Quindi se da un lato abbiamo bisogno del supporto della nostra mente, per prendere decisioni, risolvere problemi, scegliere quale sia il comportamento più adatto alla situazione, capire la differenza tra giusto e sbagliato, tra vero e falso, come ci dice Cartesio; dall’altro lato, non possiamo sottovalutare l’importanza delle emozioni in tutti questi processi. “Come tutti sappiamo per esperienza personale, quando è il momento che decisioni e azioni prendano forma, i sentimenti contano almeno quanto il pensiero razionale, e spesso anche di più. Finora si è data importanza al valore, nella vita umana, della sfera puramente razionale – in altre parole quella misurata dal Quoziente Intellettivo (QI). Ma, nel bene o nel male, quando le emozioni prendono il sopravvento, l’intelligenza può non essere d’aiuto”.

Goleman, con questo libro, vuole dirci che l’unico modo per funzionare adeguatamente è mettere insieme mente e cuore: infatti, anche il termine stesso “intelligenza emotiva” associa il lavoro del cervello a quello del cuore. Uno non può esistere senza l’altro e viceversa: “i sentimenti sono essenziali per il pensiero razionale, proprio come questo lo è per i sentimenti”.

A questo punto, arriviamo finalmente alla nostra domanda: sebbene l’autore ci spieghi che abbiamo “due menti: una che pensa e l’altra che sente”, voi siete mente o cuore?

Dott.ssa Patrizia Borrelli
Studentessa in Scienze e Tecniche Psicologiche
Tirocinante presso Humanamente

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